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ANDREA COSTA: ANARCHISMO E SOCIALISMO ANTIAUTORITARIO

Parlare di Andrea Costa oggi significa sfidare una damnatio memoriae politica ingenerosa ed immeritata, considerando l’indubbio contributo che questa particolare figura di uomo d'azione e di pensiero offrì alla causa della libertà e della giustizia sociale.

Costa nacque ad Imola il 29 Novembre del 1851, figlio di Pietro Casadio, domestico prima e poi bottegaio, e Rosa Tozzi. Il cognome Costa lo aveva ereditato dal presunto nonno paterno. Sin da giovanissimo cominciò ad interessarsi di politica, tentando inutilmente di entrare nelle file garibaldine a quindici anni, spacciandosi per un diciassettenne.

Finito il liceo si iscrisse come uditore alla facoltà di filosofia e lettere di Bologna, dove poté assistere alle lezioni di Giosuè Carducci e conoscere il quasi coetaneo Giovanni Pascoli. Abbandonò gli studi nel 1871 e si immerse totalmente nella vita politica, partecipando, nel 1872, al congresso della Prima Internazionale a Rimini.

Nel 1873 subì il primo arresto per la sua attività politica e a settembre divenne Presidente del Congresso dell’Internazionale anarchica, sorta dopo che i conflitti tra marxisti e antiautoritari, nella I Internazionale, avevano provocato l'espulsione delle componenti libertarie dalla stessa.

In questi anni Costa fu molto vicino alle idee di Michail Bakunin, che si opponevano con fermezza al concetto marxista di “dittatura del proletariato”,  considerato ambiguo e destinato a concretizzarsi in una burocrazia rossa che avrebbe avuto tutte le caratteristiche della più spietata tirannia. Lo Stato, quindi, per i bakuniniani andava abbattuto in fase rivoluzionaria, in quanto braccio politico dello sfruttamento della borghesia, laddove il Capitale ne rappresentava quello economico.

Allergico a qualsiasi pacifismo borghese, così tuonava sulla stampa anarchica il giovane Andrea Costa: “Alla reazione trionfante che ci calpesta, alla monarchia di diritto divino, alla repubblica borghese, al capitale, alla Chiesa, allo Stato, a tutte le manifestazioni della vita attuale dichiariamo guerra. …La propaganda pacifica delle idee rivoluzionarie ha fatto il suo tempo e va sostituita con quella dell'insurrezione e delle barricate».

Nel 1874 insieme ad Errico Malatesta, all’amico Carlo Cafiero, allo stesso Bakunin e a Napoleone Papini, partecipò all’Insurrezione di Bologna, che avrebbe dovuto portare all’instaurazione di un autogoverno nella città, nella speranza di estendere poi la rivolta a tutta l'Italia centrale. Si trattò di un tentativo, non riuscito, di dar vita ad un vero comune anarchico, che sarà replicato tre anni dopo in un piccolo paesino del beneventano.

In quell’occasione Costa fu arrestato, e probabilmente, in seguito all'accaduto, diede inizio ad una serie di riflessioni che pochi anni dopo lo portarono a pubblicare, sul giornale “La Plebe”, la leggendaria lettera intitolata “Ai miei amici di Romagna”.

In questo scritto annunciava la propria svolta tattica verso un socialismo che non disdegnava la via legalitaria e parlamentare, senza abdicare alla sua vena anarchica, libertaria e antiautoritaria.

In un passaggio fondamentale, troppo spesso dimenticato dai professionisti della scomunica, Costa dichiarava “non si tratta di rigettare il nostro passato, di cui, nonostante le sventure e i molti disinganni sofferti, possiamo per sempre andar fieri: né di cessar di essere quel che fummo; si tratta solamente di far di più e di far meglio.”

Nel 1881 fondò a Rimini il Partito Socialista Rivoluzionario di Romagna, che poi divenne Partito Socialista Rivoluzionario d'Italia e in seguito si fuse con il Partito Operaio e la Lega Socialista Milanese, dando vita al Psi. Il partito costiano fu, quindi, non solo il vero antesignano del Partito Socialista Italiano, ma anche, per qualche tempo, l'unica organizzazione socialista di consistenza reale.

Lo statuto del partito prevedeva una struttura federativa che accoglieva le varie tendenze del pensiero socialista, compreso quella anarchica. Nel programma addirittura l’Anarchia veniva indicata come il vero scopo finale, anche se si sottolineava l’importanza del gradualismo e delle varie battaglie riformiste.

Nel 1882 Costa fu eletto alla Camera, divenendo il primo deputato di idee socialiste nel parlamento italiano. Dopo quella prima elezione venne riconfermato nel 1895 nelle file del Psi, che aveva allora una corrente interna anarchica. Anche se le frange più intransigenti del panorama sovversivo italiano furono molto critiche verso il percorso del rivoluzionario imolese, va detto che questi non rinunciò mai alle vecchie convinzioni, polemizzando sempre con chi voleva epurare il socialismo dal “germe” anarchico.

Ciononostante parecchi vecchi compagni lo accusarono di tradimento, soprattutto quando, all'ingresso in Parlamento, fu costretto dallo statuto a “giurare fedeltà al Re”. Qualcuno mise in giro la voce che si fosse dedicato al godimento dei privilegi borghesi, ma in realtà la sua condizione economica fu sempre molto precaria, anche perchè la carica parlamentare non dava diritto, ai tempi, ad alcuna indennità.

Gli furono rinfacciate addirittura la morte prematura di Bakunin e la malattia mentale di Cafiero, rinchiuso in manicomio dal 1883. A Parigi alcuni italiani gli diedero dell’assassino e del traditore, in una violenta campagna diffamatoria subito appoggiata dalla stampa conservatrice.  In quegli anni venne accolto anche nella massoneria, cosa che gli costò la rottura dei rapporti personali con Malatesta, che l’aveva lasciata nel 1876.

Il pensiero di Andrea Costa fu sicuramente votato ad un socialismo anti-dogmatico, libertario, e con alcuni punti di vera originalità. Il rivoluzionario imolese lo immaginava come un grande movimento umano, rifiutandone l’impostazione dirigista. Anche dopo la svolta legalitaria parlò sempre di “movimento socialista”, e non di partito, facendo riferimento ad un qualcosa che andava ben oltre i confini dell’organizzazione.

Allo stesso tempo non accettò mai il governo dell’uomo sull’uomo, e guardò sempre con sospetto alle teorie classiste dei marxisti, arrivando a dichiarare: «Io non conosco che due categorie di uomini: quelli che vogliono la rivoluzione e quelli che non la vogliono. E vi sono dei “borghesi” che vogliono la rivoluzione con maggiore energia e serietà di certi operai».

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