La frantumazione di Nietzsche

Tutte le amicizie di Nietzsche furono dei fallimenti.
Nella vita privata, nei rapporti personali, Nietzsche fu sicuramente maldestro. Amava  puntare tutto sulle amicizie, offrendosi quasi in sacrificio, e probabilmente aspettandosi di essere ricambiato.

Da queste in realtà gli giunsero le delusioni più grandi, le sofferenze più acute, le ferite più profonde. E’ vero. Al di là di ogni esaltazione della vita e della “pagana crudeltà”, Nietzsche ha vissuto una certa quantità di solitudine sulla propria pelle, e un’esistenza quasi involontariamente ascetica.

Ma è troppo facile denunciare questa “doppiezza” come incoerenza. Non bisogna dimenticare, infatti, che chi vuol lasciare dietro sé una traccia durevole è costretto a subire necessariamente una "frantumazione" operata dal mondo circostante, dalle sue regole, dai suoi comportamenti, dalle sue consuetudini. Interessante e motivato è, a questo punto, nel filosofo tedesco, l’eccezionale pudore.

Nelle sue opere Nietzsche non allude mai direttamente alla propria sofferenza e alla propria condizione personale, affinché nessuno si azzardi a pensare che l’esistenza di chi grida al mondo come fa lui, possa nascondere un fallimento.

Cosa importa se non c’è corrispondenza tra la vita integra proclamata e quella “spezzata” vissuta? Scandagliare il suo vissuto e le sue debolezze sono pratiche buone per la curiosità pettegola dei nostri contemporanei, che non potendo schernire i suoi scritti si gettano golosamente sulla disgregazione dell’uomo.

In un esistente che stritola tutto,
Nietzsche è stato capace di mostrarci l’individuo non piegato dal mondo, e di farlo in un’epoca che si preparava a dividere spietatamente il mondo tra falliti e vincenti.

E solo questo importa.